Le forme.

scritto da Michele 57
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Autore del testo Michele 57

Testo: Le forme.
di Michele 57

Si disserta oggigiorno a iosa, intorno all’inutilità delle forme e la cosa, ad onor del vero, mi suona davvero alquanto divertente!

Da sempre, le forme sono servite a contraddistinguere l’uomo cosiddetto “civilizzato”, poiché è proprio per il loro tramite che questi viene a maggiormente differenziarsi dalle altre specie vitali del creato e ad illudersi, in certo qual modo, d’essere proprio lui il migliore. Certamente, così operando, l’animale uomo aiuta sé medesimo a nutrire un atteggiamento di maggior rispetto, anche nei confronti dei suoi simili, ma, soprattutto, a mascherare se stesso. Sostanzialmente, ci troviamo dinnanzi ad una manifestazione di puerilità; d’altronde, qualsivoglia costumanza sociale, se la si voglia veramente vagliare nel profondo, si ravvisa comporsi di una risibile convenzione che, proprio per questo, deve essere assolutamente rispettata, giacché, del resto, come costituisce cosa nota, tutta la nostra esistenza si risolve in un madornale controsenso.

Che dire, poi, dell’ “uomo moderno”, così pervaso dalle sue insensate liturgie e, malgrado ciò, sempre così pronto al rifiuto delle forme, nella loro intima essenza concettuale? Come potrà mai egli rendersi conscio della grandiosa ritualità del suo vivere, se ne giunge a negare addirittura l’elementarità più apparente, proprio attraverso il ripudio delle forme? È certamente questo l’insondabile mistero d’una ancor più insondabile società, torbidamente pervasa da buffi miti che, tuttavia, i più si ostinano a ravvisare seriamente come entità reali.

Corri, oh società moderna, corri pure dietro ai tuoi fantasmi, ma, mi raccomando, non fermarti mai, perché potresti essere portata a meditare e, talvolta, gli esiti di una brusca disillusione possono rivelarsi davvero fatali! Perdi te stessa e non ti crucciare d’altro: più ti abbandoni al tuo spasmodico andare e meno ti dovrai logorare in un’impossibile ricerca di quella te stessa che si andata a perdere dietro di te. Del resto, a cosa è mai servita l’inutile fatica? Corri, continua a correre e non voltarti mai indietro ! Non ti hanno forse insegnato che chi si ferma è perduto?

La landa che si stende innanzi a te è aridamente deserta, ma tu non temere: i fantasmi che sogni la popoleranno per te delle luci impalpabili di mille miraggi seducenti; osservali e gioisci! Ad ogni passo, t’appaiono più vicini; il nulla non può mai essere raggiunto, ma tu gioisci, mi raccomando, gioisci convinta, perché tutto questo non lo puoi né lo devi sapere!

Un tempo, amavi popolare le selve e le fonti di ninfe e d’egipani; si trattava di uno scherzo, d’un piacevole giuoco e tu ben lo sapevi. Di tanto in tanto, ti compiacevi di soffermarti a sognare nelle amene radure delle tue epoche tranquille ed ombrose. Era solo una piacevole sosta che ti donavi, allorquando ti eri lasciata alle spalle le guerre, i morbi e le carestie che avevano incrociato il tuo cammino.

Dalla notte dei tempi, oh società, procedevi guardinga e giudiziosa; talora, ti lasciavi sedurre da qualche fuggevole visione, ma per un momento, per un istante solo, e, quindi, avvedendoti della sua inconsistenza, ritornavi a percorrere quella via, dalla quale avevi leggermente disgredito.

I secoli sono trascorsi e le apparizioni, scaltrite, hanno imparato a fingersi sempre più reali, ma tu, società ingenua, sei rimasta l’incantevole bambina di un tempo e, per tratti sempre più lunghi, le hai seguite. I morsi della fame e della sete, talvolta, ti facevano ritornare sul sentiero abbandonato, ma, poco dopo, ecco che i sogni, furbissimi e crudeli, ritornavano ad ammaliarti, conducendoti, a loro talento, per tratturi vie più sconnessi e polverosi. Ti lusingavano, piccola bambina, e tu li seguivi felice, del tutto dimentica dei disagi e della sofferenza che quel tuo guidato procedere ti cagionava.

Oggi corri; i miti che ti conducono t’indicano ora, con prepotenza, quella strada che bramano di farti seguire; non temono più che tu li possa abbandonare, poiché sono consapevoli di come, ormai, non sapresti più ritrovare quel cammino che, dietro di te, poco a poco, si è andato a smarrire nel tempo.

Forse, nemmeno più le tue guide imperiose sanno dove mai ti vogliano condurre, ed è anche proprio per questo che altro non ti rimane da fare, se non seguirle. Ti scherniscono, si prendono di te turpe giuoco, non si curano minimamente delle tue sofferenze, ma tu, sempiterna bambina, non sai avvedertene e corri gioiosa, fiera di quella tua annichilente fatica, che trascuri, irresponsabilmente serena.

Hai perso le tue forme, povera società, ti sei davvero imbruttita, ma, nel tuo affannoso incedere, ti manca il tempo d’avvertirlo e, del resto, nella tua spasmodica marcia, ti è caduto per via anche quello specchio dorato, nel quale amavi mirarti, per scorgerti sempre più bella.

«Le forme? Sciocchezze!!», mi par di sentirti esclamare convinta, ma, quindi, in silenzio, ne cerchi di nuove e, sempre correndo, te ne adorni, sempre più sordida e smunta, mentre i tuoi sogni ne ridono e tu, piccola ingenua, confondi per ammirazione quel loro dileggio spietato. Infatti, società, nel fondo, sei sempre rimasta una donna e, se pure oggi, coartata dagli ordini sempre più cupi dei tuoi miti, rinneghi quelle forme che un tempo ti avevano resa leggiadra, d’altronde, quasi occultamente, tenti d’adornartene di nuove, per poter così tornare a risplendere radiosa sul mondo.

Povera piccina, sei rimasta priva del tuo specchio e, sempre più sgraziata e grottesca, ti sei ridotta, per poterti far giudicare nell’aspetto, ad affidarti ai cenni ammiccati dei furbissimi sogni che ti ingannano crudeli.

Corri bambina mia e non fermarti a pensare, ma illuditi e illudi! Conduci, sempre più lontano, le genti che ami, verso un regno che non potrà mai esistere in terra od in cielo! Intanto, rinnega, rinnega le forme! Afferma sicura che esse siano soltanto il portato d’una tua sciocca celia, remota e desueta, altrimenti, se mai ti conducesse il caso a costeggiare le balze d’una pozzanghera fangosa, potresti atterrirti e, forse, addirittura morire, scorgendo, nel torbido riflesso incrinato dell’acqua, il modo nel quale ora risulti acconciata. A quel punto, più a nulla varrebbero i foschi richiami dei tuoi fantasmi imperiosi e ti troveresti solitaria a vagare, sconsolata e sperduta, per un deserto sconosciuto e senza confini, disfacendoti pian piano nel nulla.

Ma, dunque, ripensandoci bene, sono poi così innocue le forme? È davvero meglio non meditarci troppo, altrimenti i vicini si potrebbero accorgere dell’assoluta perniciosità che affetta la mia natura asociale e, a quel punto, il Sindaco si vedrebbe costretto, con una speciale ordinanza, a far riaprire il manicomio per me; per me solo? Non m’importa poi tanto, purché gli infermieri siano ben educati. Come? Mi comunicate che non è possibile? Cosa mi dite? Che, al massimo, gli operatori paramedici possono essere socialmente aperti alla mia problematica di malato di mente? Mah, fate voi e scusatemi, già nell’esordio l’avevo premesso che, per me, questa società moderna costituisce un enigma insondabile. Come? Non ci si deve scusare, perché lo scusarsi per questo è ormai considerato corrispondere ad un comportamento antiquato e fuori luogo? No, adesso addirittura mi prevenite, dicendomi anche che nemmeno posso scusarmi per essermi scusato.

Ora basta davvero, ho proprio compreso che, solamente nelle profonde viscere di un manicomio ospitale potrò trovare un adeguato ricovero per la mia disgraziata diversità! Cosa mi dite ancora? Che tali cose non si possono affermare e che, quindi, sarei un villanzone? Ma, andiamo, una volta ripudiate le forme, questo termine che cosa può ancora significare ormai?
Le forme. testo di Michele 57
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